Due giorni lavorativi

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Riprendo un’idea che ho lanciato ieri sera durante la riunione del circolo parigino del PD.
Si parlava di primarie, e del fatto che le primarie permettono di caratterizzare il PD come un partito diverso. Ora per me, un partito diverso – più che partito delle primarie – è un partito attento alla moralità, preparazione, e vicinanza al territorio dei suoi dirigenti e rappresentatnti istituzionali.
L’idea era: ma perché in effetti non cercare di guadagnarsi questa immagine del partito diverso,  magari grazie a dei messaggi “demagogici”, capaci di  mostrare la vicinanza alla gente che vive la difficoltà della crisi. Proponevo che si tornasse al vecchio: il decurtamento alla base del 50% dello stipendio di parlamentare. Sono pienamente convinta che sarebbe un atto buono e giusto e capace di svegliare l’attenzione di tanti votanti sopiti.
Naturalmente, altri messaggi (ma intendo fatti, non annunci) forti si dovrebbero accompagnare a quello che è un semplice gesto simbolico, che so: nessun condannato per corruzione o per associazione malavitosa potrà aspirare a cariche nel partito, interne e esterne; ogni indagato deve attendere la fine del proprio processo prima di candidarsi, per non rischiare di inquinare le indagini se eletto. Gesti simbolici tutti interni al PD.
Penso a questo e poi scopro che in ogni modo, di tempo per ragionare su queste cose ai parlamentari ne resta in abbondanza:
Per carità, saranno tutti impegnati in commissioni, o a studiare.
Ma allora mi dico, perché non avanzare la proposta seguente:
Le aule del Parlamento, nei giorni senza votazioni (lunedi e venerdi non ce ne sono mai) diventano aule per la formazione.
Sappiamo bene che i parlamentari italiani non sono, è il minimo che si possa dire, terribilmente informati. Gli chiedi del Darfur e rispondono che loro non ci mangiano a Carrefour perché i fast food in Italia non prendono.
Benissimo: e che uno deve essere un politico di mestiere, uno che sa tutto degli altri sistemi politici, della vita in Darfur, o di instituzioni, per essere eletto? Non basta che sia onesto? Ma certo (ma magari); pero’ allora, in questo caso, almeno la preparazione diamogliela una volta che arriva in parlamento.  Diciamo che una parte del suo stipendio gli viene decurtata e spesa in formazione, per lui, e quindi per il paese.
Siamo o non siamo la società della conoscenza? E che solo i politici che la governano devono rimanere ignoranti?
Facciamo una proposta di legge e intanto facciamo vedere come si fa: i parlamentari del PD si decurtano lo stipendio e aprono una cassa formazione, formazione alla quale tutti i parlamentari del PD sono tenuti a partecipare, ma aperta anche agli altri parlamentari: due giorni a settimana un professore universitario diverso, un ambasciatore straniero, un esperto in nuove tecnologie viene a parlare e a fare lezione ai politici.
E se poi nessuno si vuole più candidare nel PD? Finirà che si candideranno quelli che non lo fanno per i soldi o per la pensione.
Elena Pasquinelli

Nawal El Saadawi

Segnalo un articolo comparso sull’Unità, a proposito di veli ma soprattutto di diritti e corpo delle donne
http://archivio2.unita.it/v2/carta/showoldpdf.asp?anno=2010&mese=05&file=06CUL38a

E vi segnalo anche il sito internet di
autrice dell’articolo.

Qualche citazione, per capire di cosa si tratti:
La violenta opposizione contro i diritti delle donne e dei poveri è universale, e non un fenomeno particolare della regione araba o dei paesi islamici.
Il concetto di verginità è insito nell’ebraismo e nel cristianesimo. Per esempio, la Vergine Maria è la madre ideale, e le suore portano il velo. La pratica di coprire le donne con il velo in Europa era limitata tradizionalmente alle comunità ebraiche e a quelle islamiche. Oggi, è sempre più comune tra i migranti islamici che vivono in Olanda, in Francia, in Inghilterra, in Belgio e in altri paesi.

Nawal El Saadawi parla anche dell’inganno del relativismo culturale (almeno il cattivo uso di questo concetto), a cui ci si appella troppo spesso per giustificare menomazioni fisiche e mentali imposte alle donne riconducendole a scelte religiose e culturali.
Mi pare un ulteriore messaggio che va nella direzione di una seria presa in considerazione dell’ipocrisia a) di chi pensa che la donna sia “velata” solo dall’Islam; b) di chi pensa che l’appello a cultura e religione possa giustificare qualunque atto di disprezzo della libertà altrui, qualunque soperchieria e imposizione.

Elena

La crisi greca for dummies (Emanuele Dolce)

Io ho un reddito fisso, diciamo il mio stipendio. Riccardo ha un reddito aleatorio, diciamo ventimila azioni Telecom. Ecco, tra me e Riccardo ci possiamo mettere d’accordo e scrivere un contratto nel quale stabiliamo che tra il 2015 e il 2016 io gli verserò ogni mese il mio stipendio e lui in cambio mi verserà ogni mese una somma pari alla plusvalenza che lui ha realizzato in questi anni e fino al 2015, divisa per 12. Io ci guadagno se il mio stipendio non cresce molto e se lui fa una bella plusvalenza, lui ci guadagna se io vengo promosso e/o se le sue azioni vanno male. Questo contratto poi io lo metto sul mercato e Goffredo decide di comprarlo in cambio di soldi, pochi maledetti ma subito, perché lui nelle capacità d’investimento di Riccardo ci crede di brutto. Io a quel punto mi son tirato fuori dal rischio speculativo e ho convertito in soldi oggi un eventuale guadagno (magari maggiore, o almeno è quel che pensa Goffredo) domani.

Tempo dopo io sono al bar con Zack e dico “ma quel Goffredo là è proprio un pollo, eh. Mi ha comprato uno swap assurdo indicizzato sul mio stipendio e sul rendimento delle azioni di Riccardo”. Zack pero’ non solo non pensa che Goffredo sia un pollo, ma mi invita a scommetterci: facciamo quindi un nuovo contratto, in cui io scommetto che Goffredo finisca sul lastrico a causa del suo investimento sul titolo — che peraltro ho emesso io, e ne so qualcosa sulle possibilità che almeno il mio stipendio cresca — mentre Zack scommette che Goffredo abbia fatto un affare: lui mi offre quindi un contratto d’assicurazione, impegnandosi a pagarmi una certa somma se, nel 2016, dovesse venir fuori che Goffredo e Riccardo non son stati molto scaltri, io gli allungo dei soldi (pochi, maledetti, subito). Io poi questa particolare “polizza d’assicurazione” la posso ovviamente scambiare sul mercato ma non intendo farlo subito: non prima di aver parlato in giro di quanto sia scarso Goffredo e di quanto andrà male Telecom, in modo da farne salire un po’ il prezzo e farci una bella plusvalenza.

Nel frattempo Goffredo si rende conto che per comprare il mio titolo ha impegnato gli ultimi soldi che aveva in tasca e stasera per giunta c’è Pupo a Parigi e lui a un concerto di Pupo non può proprio mancare. Disperato, decide di venire alla riunione del Pd (quella ristretta, sui Comites) e ci viene con dei titoli del debito appena stampati: lo impegnano, in cambio di contante fresco, a pagare a chi li compra un tasso d’interesse mensile da oggi fino al giorno della scadenza, più il riscatto della somma (alla pari, cioé il 100%) alla scadenza. Per convincerci, visto che nessuno pare interessato all’acquisto, alza il tasso d’interesse, dal 3 al 5, infine al 7%. Quando sono arrivati al 9% io, Beatrice e il resto dell’assemblea ne compriamo un po’, Goffredo può andare al concerto di Pupo e per il momento tutto bene.

Il problema di Goffredo è che non avrebbe dovuto prendere anche due coche-cole alla modica cifra di 18 euro al baracchino fuori dalla sala dei concerti, perché adesso non ha sufficiente contante, anche calcolando gli interessi attivi che gli darebbe la banca sul suo capitale, per ripagare gli interessi passivi che ha contratto con me e con Bea. Allora inizia a emettere altro debito e — cosa ancor peggiore — si fa convincere da Bea sull’emissione di un altro derivato, soldi freschi in cambio dell’impegno a ripagare tutto tra il 2016 e il 2020. Bea — che ha su di me una certa autorità morale — mi consiglia di far finta di comprare questi titoli in modo da dare una mano a Goffredo, che altrimenti va in bancarotta e non pagherà né me né lei (ovviamente per questo lavoro Bea prende una commissione da Goffredo). Poi Bea (sempre lei) si impegna anche a coprire il fatto che Goffredo non ha ricevuto in realtà neanche una lira né da me ne da altri, ma l’ha scritto nelle sua contabilità comunque come un attivo. Quindi gli copre un falso di bilancio

Ecco uscendo di metafora questo è quello che è successo alla Grecia (Goffredo) per colpa degli hedge funds (io e Bea), per mezzo degli swap: il primo (il contratto tra me e Riccardo) era uno swap “semplice”; il secondo (quello tra me e Zack) era un CDS, Credit Default Swap. Si nota che la differenza è che mentre il primo swap era su due redditi che tutti possono verificare via via e che sono reali (è cioè uno swap con un sottostante), il secondo era uno swap sul niente, una pura scommessa.

Il mio interesse e quello di Bea è speculativo: a noi interessa dapprima che Goffredo emetta titolo con il più alto tasso possibile, e comprarlo. Poi ci conviene che la gente sappia che Goffredo non è solvibile, in modo che il mio titolo che scommette sull’insolvenza di Goffredo (il secondo swap) salga di valore. Infine, ci conviene che arrivi Maria Chiara che, su pressioni guardacaso mie e di Bea, dia a Goffredo i soldi che gli servono, cosi’ da un lato noi abbiamo il capitale dell’investimento garantito, dall’altro ci siamo assicurati un titolo che rende moltissimo e che pero’ non presenta rischi particolari (e noi lo sappiamo). Ovviamente venderemo lo swap che scommette sul fallimento di Goffredo non appena saremo sicuri che a Goffredo gli aiuti arrivano, ma prima che lo sappiano gli eventuali acquirenti. Li venderemo proprio quando tutti credono che Goffredo fallirà sicuramente. Mentre ci terremo stretti il suo BTP, che — quando le acque si saranno calmate — sarà un gran bell’investimento, sicuro sicuro, a medio-lungo.

Più seriamente: per gli hedge funds questo della Grecia è in realtà un obiettivo intermedio. La ciccia la fanno speculando sul valore dell’euro. Nel frattempo la Grecia ha dato una piccola, coraggiosa risposta: gli hedge non possono comprare i titolo del debito greco.

Da un punto di vista di policy la soluzione più seria mi pare:

1. impedire che gli swap siano scambiabili sui mercati, regolamentati o non – non tutti gli swap, solo quelli puramente speculativi
2. stabilire per legge che gli stati che aderiscono all’UE debbano avere un bilancio certificato da un’agenzia europea, e debbano essere in attivo, come in Germania (se la Merkel aiuta i greci non può farlo andando in rosso, loro il pareggio nei conti ce l’hanno nella costituzione)
3. far pagare le tasse a chi non le paga: in Grecia c’è un’evasione fiscale altissima, unita a una crisi economica strutturale: i soldi mancano per forza. Ah, by the way: vi ricorda qualcosa?
4. Impegnarsi pubblicamente a non aiutare proprio nessuno. I greci falliscono? Falliscano. Chi ci ha scommesso comprando titoli del debito, stavolta si attacca. Il popolo greco si rivalga su chi per anni non ha pagato le tasse, sulle banche, sui governanti.
5. Rispondendo con open market operations alle oscillazioni dell’euro. Abbiamo una base monetaria ampia, certo se non avessimo usato tutti quei soldi per aiutare le banche a fare i profitti che hanno fatto nel 2009, sarebbe stato meglio. Ma i soldi li abbiamo.

L’italia nel pallone (Elena Pasquinelli)

Un coro si leva, se non unanime almeno trasversale rispetto agli
schieramenti politici, dalle aule di Montecitorio. Esponenti di rilievo
di PDL, PD, UDC marciano insieme verso una interrogazione parlamentare,
si appellano al Presidente del Consiglio perché ristabilisca un
fondamentale principio di merito in uno degli ambiti più intricati del
panorama italiano. Prove di riforme istituzionali? Di più, molto di più
per un italiano. Lazio-Inter. Non una Lazio-Inter qualunque, ma una
Lazio-Inter che decide l’esito di un campionato avvelenato dalla
resurgenza delle polemiche di calciopoli, e che strappa dalle mani lo
scudetto alla Roma (non a caso, esiste un club giallorosso a
Montecitorio).
Per chi desiderasse approfondire:
http://www.repubblica.it/sport/calcio/2010/05/03/news/reazioni-poltica-3784870/

Un breve riassunto per coloro che, colpevolmente, non si
interessano al calcio pur interessandosi di politica – ricordatevi che
nessuna riforma istituzionale solleverà mai gli animi degli italiani
quanto la proposta di inserire la moviola in campo. Come direbbe
Gasparri: se andate al bar, credete di sentir dibattere di modello alla
tedesca o di modulo all’italiana?
La vicenda Lazio-Inter nel suo piccolo offre un condensato di
politica italiana:
– dopo aver processato la Juventus grazie a
intercettazioni illegali commissionate dal presidente dell’Inter
e eseguite dal secondo maggior azionista dell’Inter (Tronchetti
Provera, Telecom-Inter), l’Inter gode di uno scudetto strappato
direttamente dalla maglio di una squadra che lo stesso anno fornisce il
70% degli effettivi alla nazionale italiana che vince il mondiale –
probabilmente non tifata dagli esponenti della Lega
non si procede a verificare la testimonianza di coloro
che, durante i processi e le fasi istruttorie, insistono sulla
co-partecipazione di Inter e Milan al sistema calciopoli: lo “scandalo”
viene chiuso in modo che lo spettacolo calcio continui e le televisioni
possano lucrare a dovere
– questo fino a quando la bolla diventa intenibile e nuove
intercettazioni permettono di ascolare la voce del fu onesto Facchetti
(lo scudetto strappato alla Juventus dalla magia e consegnato all’Inter
fu definito dal signor Facchetti e dal presidente Moratti: lo scudetto
degli onesti) il quale si intrattiene con l’allora designatore arbitrale
Bergamo in conversazioni che lasciano poco all’immaginazione (quasi
come quelle di Berlusconi con la signora d’Alessio: chi ricorda
il presidente del consiglio prodigo di consigli verso la “escort”
D’Alessio sulla maniera migliore di “toccarsi” non potrà non sentire
un’assonanza nei consigli di Facchetti a Bergamo sul modo di scegliere
gli arbitri).
Veniamo ai dati recenti: la Roma in testa a testa per lo scudetto
con l’Inter vede la Lazio (eterna nemica di campanile) incitare l’Inter a
segnare, per strappare lo scudetto alla Roma. L’Inter segna, facile, e
il mondo politico esplode.
Scandalo: e la meritocrazia? E la giustizia? Tutti la
reclamano ora a Roma. Deve fare l’oggetto di un’azione parlamentare
congiunta, perché sui veri problemi ci si unisce, si superano le
barriere.
Ci si chiede perché perdiamo tempo sulle riforme
istituzionali…
Elena

Per una tassonomia del disprezzo delle donne in TV

Per chi ha visto il documentario, e per chi non lo ha visto consiglio di farlo per provare un sano senso di rabbia, vergogna, indignazione, Il corpo delle donne è anche un blog continuamente aggiornato di “chicche” sul rispetto che la società e lo stato italiano (che paga gli stipendi RAI, valida con svariate commissioni i suoi dirigenti e programmi) portano alle donne che non portano il burqa.

Ecco qualche esempio tratto dal monitoraggio svolto nel 2009 sulla TV italiana.

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Per una tassonomia del velo

Le Monde pubblicava alcuni mesi fa una sorta di tassonomia del velo islamico (per sapere di cosa si parla quando si condanna il burqa è utile). La ripropongo su questo blog, insieme a reportage di Repubblica su ‘Io dentro il burqa per le strade di Milano‘. E insieme ad un articolo apparso il 24 gennaio sul Sunday Times che descrive in dettagli l’atteggiamento British (“live and let live”) verso il burqa nel mentre che discute le ragioni del rappresentante dell’UKIP per schierarsi per la proibizione del burqa.

Per tenersi informati.

Elena Pasquinelli

The Taliban would applaud

Continua la discussione sull’opportunità di proibire il velo integrale, offesa indiscutibile alla dignità delle donne (o meglio: segno indiscutibile di una dignità offesa, di un’immagine deleteria della donna).

Vorrei introdurre nell’argomentario la reazione degli Stati Uniti, o almeno di una testata importante: il New York Times. Cito:

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Il velo, il burqa, il niqab in Francia

In seguito agli ultimi post di questo blog, e alla discussione nata all’interno del PD Parigi, pare importante creare una più ampia base documentaria sulla “questione burqa” (e velo), che ci permetta di capire e agire nell’interesse del rispetto donne e dell’integrazione delle persone che migrano verso la Francia, come verso l’Italia. Due argomenti chiave della definizione di un partito democratico e progressista.

In qualità di PD Parigi ci sentiamo sollecitati due volte da queste questioni: in quanto cittadini francesi confrontati alle politiche della destra del presidente Sarkozy – che dell’identità nazionale e non dell’integrazione fa il vessillo di ogni campagna elettorale; e in quanto cittadini italiani, recentemente richiamati dalla Ministro Carfagna a guardare alle politiche francesi sul burqa come ad un esempio da seguire.

Un po’ di storia (a ritroso) per fare il punto sulla situazione:

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Coi veli e senza veli

Mi pare che il Pd Parigi, in generale Francia, sia chiamato in causa direttamente da questo asse di riflesisone franco-italiano surlle donne e il burqua

Inizio con una breve battuta: quando il Ministro Carfagna parla del burqua come offesa ai valori nazionali italiani spero non faccia riferimento alle donne della TV italiana, che di certo sono senza veli, ma non meno ‘minori’ (per usare il termine molto giusto della Ministro della necessità di un’uscita dalla minorità per le donne e anche relativamente al burqua).
Mi pare che un’iniziativa pubblica si imponga, con un cahier de charges e riflessioni da trasmettere al più presto al PD nazionale, forti del dibattito francese e dei risultati (negativi) della proibizione del velo (citati nell’intervista: le donne vengono chiuse in casa invece di venire chiuse nel velo).
Ho dei dubbi che una cultura dell’integrazione possa essere imposta a suon di divieti, che di solito hanno l’effetto di rinforzare posizioni estremiste e di spingere a considerare il burqua come un affare culturale o religioso.
Cosa che non sono  comunque disposta ad accettare. Trovo il burqa vergognoso, come il niqab, e anche il velo. Lo trovo orrendo, come trovo orrende le donne costrette a stare in bikini accanto a un presentatore in giacca e cravatta e a infilarsi sotto un tavolo in plexiglas o a farsi una doccia vestite in un programme tv per famiglie.
Un’iniziativa deve essere fatta, a partire dalla proiezione del corto documentario sulle donne in tv, per mostrare che la nostra cultura non ha molto da invidiare a quella del velo dal punto di vista della minorità delle donne. E che se si parla di burqa si deve mostrare di essere pronti a mettere in discussione anche i comportamenti della nostra società, non solo quelli delle società altrui, sulla base dei principi che andiamo sbandierando.
Con questo e con le considerazioni che ho espresso, si io sono per azioni decise contro  i burqa, e per aiutare le donne immigrate a liberarsi da un giogo che come dicono molti imam non ha nulla a che fare con la religione, ma solo con l’umiliazione delle donne. Ma mi piacerebbe appunto coinvolgere gli imam, chiedere loro di prendere posizione contro il burqa.
E mi piacerebbe che il PD dicesse anche: se vinciamo noi vi promettiamo che la televisione nazionale bandirà da un giorno all’altro tutte le trasmissioni che umiliano le donne e forniscono un’immagine distorta del loro ruolo nella società. Apriremo una commissione donne per la RAI. Perché è la televisione nazionale. E la nostra nazione non appoggia certi messaggi.
Elena Pasquinelli