Il velo, il burqa, il niqab in Francia

In seguito agli ultimi post di questo blog, e alla discussione nata all’interno del PD Parigi, pare importante creare una più ampia base documentaria sulla “questione burqa” (e velo), che ci permetta di capire e agire nell’interesse del rispetto donne e dell’integrazione delle persone che migrano verso la Francia, come verso l’Italia. Due argomenti chiave della definizione di un partito democratico e progressista.

In qualità di PD Parigi ci sentiamo sollecitati due volte da queste questioni: in quanto cittadini francesi confrontati alle politiche della destra del presidente Sarkozy – che dell’identità nazionale e non dell’integrazione fa il vessillo di ogni campagna elettorale; e in quanto cittadini italiani, recentemente richiamati dalla Ministro Carfagna a guardare alle politiche francesi sul burqa come ad un esempio da seguire.

Un po’ di storia (a ritroso) per fare il punto sulla situazione:


In Italia

Il 26/1/2010 la Ministro per le Pari Opportunità Carfagna annuncia di apprezzare la via presa dalla Francia con la seria considerazione del divieto del velo totale (burqa o niqab). Lo spazio adeguato secondo la Ministro, per parlare di questa questione, è quello delle politiche sull’immigrazione e sulla cittadinanza. La Ministro accoglie le dichiarazioni di imam autorevoli che sottolineano come burqa e niqab non siano un simbolo religioso. La Ministro ne fa una questione di rispetto dei diritti delle donne, ma ammette lei stessa, anche delle nostre leggi e della nostra costituzione. Un riassunto della sua posizione e un breve dibattito con Souheir Katkhouda, Presidente delle donne Musulmane in Italia (contrara al velo integrale, ma anche ai provvedimenti normativi ad hoc), puo’ essere ascoltato dal sito di Repubblica TV.

La Ministro dichiara di voler costituire un gruppo di lavoro che coinvolga anche le principali associazioni di donne musulmane per approfondire un tema che ammette essere complesso e delicato. La Ministro considera il diffondersi del chador un campanello di allarme: situazioni di segregazione che si cerca di importare nel nostro paese, col rischio di portare indietro appunto il nostro paese relativamente ai pari diritti delle donne, conquista anche dolorosa del nostro paese. Le donne che vengono in Italia devono poter godere di queste conquiste. Non condanna anche se no  le trova risolutive le azioni di sindaci leghisti che hanno affrontato il velo come un problema di pubblica sicurezza.

Di fatto,  5 proposte di legge a questo proposito sono confluite in un testo unico al vaglio della Camera (proposta di legge Sbai), che puo’ essere consultato sul sito della Camera e che recita:

1. Al primo comma dell’articolo 5 della
legge 22 maggio 1975, n. 152, e successive
modificazioni, è aggiunto, in fine, il se-
guente periodo: « È altresì vietato, al fine
di cui al primo periodo, l’utilizzo degli
indumenti femminili in uso presso le
donne di religione islamica denominati
burqa e niqab ».

La legge è al vaglio in commissione affari costituzionali. Fanno parte del dossier informativo che accompagna la proposta la normativa francese e quella tedesca sul velo (divieto nelle scuole per tutte in Francia, solo per le insegnanti in Germania).

Da ricordare che il 2 ottobre 2009 la Lega Nord avanzava una proposta di legge che consiste in arresto in flagranza, reclusione fino a 2 anni e multa fino a 2mila euro per chi “in ragione della propria affiliazione religiosa” indossi in pubblico abiti che rendono “impossibile o difficoltoso il riconoscimento”. Questo in analogia con la legge (anti-terrorismo) che vieta il porto di caschi o passamontagna che coprono il viso senza giustificato motivo. In realtà il passo da una legge all’altra è ben lungo: chiama in causa l’affiliazione religiosa. Difficile considerarla una semplice ampliazione.

Il PD considera questa legge come illegittima, e denuncia il rischio che molte donne finiscano semplicemente chiuse in casa, invece che dietro ad un velo. Vedremo che  è stato il caso della Francia, in seguito al divieto di porto del velo in luoghi pubblici istituzionali (scuole, ospedali, uffici pubblici).

Altra considerazione importante viene da Ahmad Gianpiero Vincenzo, “presidente dell’associazione Intellettuali Musulmani Italiani: “Per vietare il burqa e il niqab in Italia non troviamo opportuno fare riferimento a una presunta affiliazione religiosa islamica. La copertura del volto – aggiunge – non fa parte della religione islamica, come chiaramente dichiarato anche da Mohammed Said Tantawi, grande imam dell’università egiziana Al Azhar. In realtà basterebbe far rispettare la normativa di sicurezza già vigente in Italia fino al 1975, la quale impedisce di coprirsi in pubblico il volto”.” (cito da Repubblica del 7/10/2009).

Ricordo brevemente che l’imam Mohammed Sayyed Tantawi pianifica di vietare il burqa nell’Università di Al Azhar, e fatto toglier il niqab ad una studentessa, affermando che la copertura totale è un fatto di tradizione che nulla ha a che vedere con la religione. Stessi toni usati dal Ministro della Cultura egiziano che ha proibito il velo integrale alle donne consigliere spirituali elle moschee egiziane, al fine di non incoraggiare la sua cultura.

In Francia:

26/1/2010. La commissione istituita dal Parlamento (presieduta da Gerin, PCF) nel giugno 2009 per discutere del porto di burqa e niqab, conclude che il velo integrale offende i valori nazionali francesi. Il rapporto puo’ essere letto sul sito dell’Assemblée nationale. La commissione era stata costituita su richiesta dello stesso Gerin, e firmata da parlamentari di tutti i campi politici. La commissione conclude a favore di una legge d’interdizione:

1. Considère qu’il est nécessaire de réaffirmer les valeurs républicaines de liberté, d’égalité et de fraternité qui fondent notre vivre-ensemble et qui s’opposent à toutes les formes d’intégrisme, de communautarisme et de sectarisme ;

2. Estime que ces valeurs fondatrices ont pour conséquence directe le refus de toute atteinte aux principes de mixité et d’égalité des sexes et l’obligation de protéger les personnes les plus vulnérables, en particulier les mineurs ;

3. Affirme que le port du voile intégral est contraire aux valeurs de la République ;

4. Condamne les violences et les contraintes pesant sur les femmes et préconise le renforcement des mesures visant à promouvoir l’égalité entre femmes et hommes ;

5. Affirme le soutien de la France, qui à ce titre se doit d’être exemplaire, aux femmes victimes de violences et de discriminations de par le monde ;

6. Apporte son soutien aux élus, aux agents publics, aux associations et à tous ceux qui combattent le port du voile intégral ;

7. Considère que la liberté de conscience ne peut s’exercer que dans le respect du principe de laïcité ;

8. Estime nécessaire de promouvoir une société ouverte et tolérante et de lutter contre toutes les discriminations ;

9. Proclame que c’est toute la France qui dit non au voile intégral et demande que cette pratique soit prohibée sur le territoire de la République.

Nello stesso rapporto troviamo citate le parole del presidente:

“Le Président de la République, Nicolas Sarkozy, l’a affirmé, le 22 juin 2009, devant le Congrès du Parlement : la burqa « ne sera pas la bienvenue sur le territoire de la République française. Nous ne pouvons pas accepter dans notre pays des femmes prisonnières derrière un grillage, coupées de toute vie sociale, privées de toute identité. » Elle est « contraire à nos valeurs et contraire à l’idée que nous nous faisons de la dignité de la femme », selon la formule qu’il a employée le 13 janvier 2010.”

Coppé, UMP, esige il bando da tutto lo spazio pubblico.

Il PS è in questa situazione contro il velo, ma allo stesso tempo contro le politiche di stigmatizzazione che fanno capo al dibattito sull’identità nazionale.

Sono passati 6 anni dalla legge contro il porto del velo (in realtà di ogni tipo di segno religioso) nelle scuole. Ma il dibattito resta lo stesso: il rischio di vedere rinforzati certi sentimenti fondamentalisti dall’idea stessa della persecuzione e della prova sopportata per la propria religione, il rischio di vedere le donne rinchise dietro al velo rinchiuse nelle case. E questo per un fenomeno che in realtà è estremamente limitato. In Francia il governo considera che il numero di donne che portano il velo integrale sia di 1900.

Per seguire il dibattito, una lettura interessante viene da Le Monde del 26-1-2010. Cito due passaggi:

“comment se fait-il que la burqa pose problème en France, alors qu’au Royaume-Uni ça ne choque personne ? Parce que le Royaume-Uni a un autre système social où on reconnaît davantage les communautés et où les libertés individuelles sont beaucoup plus grandes. Cela relève d’un choix social complètement différent. Et je crois aussi que la France s’interroge sur son identité, et tout élément de différenciation est interprétée en France comme une volonté de se séparer de la communauté nationale. Ce qui n’est pas le cas au Royaume-Uni, où l’on va s’intégrer davantage par le travail, par exemple. Des femmes voilées occupent des postes très intéressants dans la hiérarchie au sein des entreprises, ce n’est pas un obstacle.”

Le risque de cette interdiction est de générer du ressentiment chez les musulmans de France. La commission évoque qu’en échange on donne des gages et reparle d’instaurer comme jour férié l’Aïd. Mais si cela peut être intéressant et témoignerait de la diversité au sein de notre société, la vraie solution est de sortir de l’anecdotique, de laisser ces questions mineures dans des espaces plus adaptés que l’espace public. On ne peut pas mobiliser tout l’appareil d’Etat, les médias, etc. autour de questions qui ne concernent que quelques personnes.

Altra lettura interessante, sempre da Le Monde del 20/1/2010, sul burqa e l’identità nazionale come veli per coprire i problemi di disoccupazione de paese.

Ecco dunque alcuni documenti da cui iniziare a discutere.

Elena Pasquinelli


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