Cosa si celebra l’Otto Marzo?

L’Otto Marzo è una ricorrenza nella quale le donne affermano il proprio diritto alla parità con gli uomini, nel lavoro e nella vita. Ma qual è l’origine storica della Festa internazionale delle donne?
Diversamente da quanto a volte capita di leggere, l’evento storico che si celebra ogni anno l’8 Marzo non è il rogo della fabbrica statunitense Cotton (o Cottons), nella quale, si narra, morirono molte operaie: tale fabbrica in realtà non è mai esistita. Un evento simile si verificò il 25 Marzo del 1911 a New York, in una fabbrica tessile di nome Triangle, nel cui rogo morirono effettivamente molte giovani operaie, in prevalenza immigrate est europee.
Ma quell’evento non ha niente a che vedere con la Festa delle donne.
L’evento che si celebra ogni anno è un corteo che si tenne, per l’appunto, l’8 marzo del 1917 a San Pietroburgo, in Russia: in quell’occasione migliaia di donne del nascente movimento socialista sfilarono in testa a un grande corteo per le strade della loro città per chiedere la fine della guerra, aprendo la stagione delle lotte operaie che qualche mese dopo culminò nella Rivoluzione.
In Italia l’8 Marzo fu festeggiato per la prima volta nel 1922, su iniziativa del Partito Comunista d’Italia, all’epoca ispirato da Antonio Gramsci. La prima celebrazione nell’Italia liberata dal fascismo risale al 1945, su iniziativa dell’Unione delle Donne in Italia, federazione di donne comuniste, socialiste e della sinistra democristiana.
A quel periodo, peraltro, risale l’uso della mimosa, che in Italia fiorisce i primi di marzo.
Buon Otto Marzo a tutte: un pensiero va alle 21 donne elette nell’Assemblea Costituente del 1946 e alle tante donne che lottano ogni giorno, ovunque nel mondo, contro l’oscurantismo, il fascismo e la violenza dei regimi maschilisti.

Nawal El Saadawi

Segnalo un articolo comparso sull’Unità, a proposito di veli ma soprattutto di diritti e corpo delle donne
http://archivio2.unita.it/v2/carta/showoldpdf.asp?anno=2010&mese=05&file=06CUL38a

E vi segnalo anche il sito internet di
autrice dell’articolo.

Qualche citazione, per capire di cosa si tratti:
La violenta opposizione contro i diritti delle donne e dei poveri è universale, e non un fenomeno particolare della regione araba o dei paesi islamici.
Il concetto di verginità è insito nell’ebraismo e nel cristianesimo. Per esempio, la Vergine Maria è la madre ideale, e le suore portano il velo. La pratica di coprire le donne con il velo in Europa era limitata tradizionalmente alle comunità ebraiche e a quelle islamiche. Oggi, è sempre più comune tra i migranti islamici che vivono in Olanda, in Francia, in Inghilterra, in Belgio e in altri paesi.

Nawal El Saadawi parla anche dell’inganno del relativismo culturale (almeno il cattivo uso di questo concetto), a cui ci si appella troppo spesso per giustificare menomazioni fisiche e mentali imposte alle donne riconducendole a scelte religiose e culturali.
Mi pare un ulteriore messaggio che va nella direzione di una seria presa in considerazione dell’ipocrisia a) di chi pensa che la donna sia “velata” solo dall’Islam; b) di chi pensa che l’appello a cultura e religione possa giustificare qualunque atto di disprezzo della libertà altrui, qualunque soperchieria e imposizione.

Elena

Per una tassonomia del disprezzo delle donne in TV

Per chi ha visto il documentario, e per chi non lo ha visto consiglio di farlo per provare un sano senso di rabbia, vergogna, indignazione, Il corpo delle donne è anche un blog continuamente aggiornato di “chicche” sul rispetto che la società e lo stato italiano (che paga gli stipendi RAI, valida con svariate commissioni i suoi dirigenti e programmi) portano alle donne che non portano il burqa.

Ecco qualche esempio tratto dal monitoraggio svolto nel 2009 sulla TV italiana.

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Per una tassonomia del velo

Le Monde pubblicava alcuni mesi fa una sorta di tassonomia del velo islamico (per sapere di cosa si parla quando si condanna il burqa è utile). La ripropongo su questo blog, insieme a reportage di Repubblica su ‘Io dentro il burqa per le strade di Milano‘. E insieme ad un articolo apparso il 24 gennaio sul Sunday Times che descrive in dettagli l’atteggiamento British (“live and let live”) verso il burqa nel mentre che discute le ragioni del rappresentante dell’UKIP per schierarsi per la proibizione del burqa.

Per tenersi informati.

Elena Pasquinelli

The Taliban would applaud

Continua la discussione sull’opportunità di proibire il velo integrale, offesa indiscutibile alla dignità delle donne (o meglio: segno indiscutibile di una dignità offesa, di un’immagine deleteria della donna).

Vorrei introdurre nell’argomentario la reazione degli Stati Uniti, o almeno di una testata importante: il New York Times. Cito:

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Il velo, il burqa, il niqab in Francia

In seguito agli ultimi post di questo blog, e alla discussione nata all’interno del PD Parigi, pare importante creare una più ampia base documentaria sulla “questione burqa” (e velo), che ci permetta di capire e agire nell’interesse del rispetto donne e dell’integrazione delle persone che migrano verso la Francia, come verso l’Italia. Due argomenti chiave della definizione di un partito democratico e progressista.

In qualità di PD Parigi ci sentiamo sollecitati due volte da queste questioni: in quanto cittadini francesi confrontati alle politiche della destra del presidente Sarkozy – che dell’identità nazionale e non dell’integrazione fa il vessillo di ogni campagna elettorale; e in quanto cittadini italiani, recentemente richiamati dalla Ministro Carfagna a guardare alle politiche francesi sul burqa come ad un esempio da seguire.

Un po’ di storia (a ritroso) per fare il punto sulla situazione:

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Coi veli e senza veli

Mi pare che il Pd Parigi, in generale Francia, sia chiamato in causa direttamente da questo asse di riflesisone franco-italiano surlle donne e il burqua

Inizio con una breve battuta: quando il Ministro Carfagna parla del burqua come offesa ai valori nazionali italiani spero non faccia riferimento alle donne della TV italiana, che di certo sono senza veli, ma non meno ‘minori’ (per usare il termine molto giusto della Ministro della necessità di un’uscita dalla minorità per le donne e anche relativamente al burqua).
Mi pare che un’iniziativa pubblica si imponga, con un cahier de charges e riflessioni da trasmettere al più presto al PD nazionale, forti del dibattito francese e dei risultati (negativi) della proibizione del velo (citati nell’intervista: le donne vengono chiuse in casa invece di venire chiuse nel velo).
Ho dei dubbi che una cultura dell’integrazione possa essere imposta a suon di divieti, che di solito hanno l’effetto di rinforzare posizioni estremiste e di spingere a considerare il burqua come un affare culturale o religioso.
Cosa che non sono  comunque disposta ad accettare. Trovo il burqa vergognoso, come il niqab, e anche il velo. Lo trovo orrendo, come trovo orrende le donne costrette a stare in bikini accanto a un presentatore in giacca e cravatta e a infilarsi sotto un tavolo in plexiglas o a farsi una doccia vestite in un programme tv per famiglie.
Un’iniziativa deve essere fatta, a partire dalla proiezione del corto documentario sulle donne in tv, per mostrare che la nostra cultura non ha molto da invidiare a quella del velo dal punto di vista della minorità delle donne. E che se si parla di burqa si deve mostrare di essere pronti a mettere in discussione anche i comportamenti della nostra società, non solo quelli delle società altrui, sulla base dei principi che andiamo sbandierando.
Con questo e con le considerazioni che ho espresso, si io sono per azioni decise contro  i burqa, e per aiutare le donne immigrate a liberarsi da un giogo che come dicono molti imam non ha nulla a che fare con la religione, ma solo con l’umiliazione delle donne. Ma mi piacerebbe appunto coinvolgere gli imam, chiedere loro di prendere posizione contro il burqa.
E mi piacerebbe che il PD dicesse anche: se vinciamo noi vi promettiamo che la televisione nazionale bandirà da un giorno all’altro tutte le trasmissioni che umiliano le donne e forniscono un’immagine distorta del loro ruolo nella società. Apriremo una commissione donne per la RAI. Perché è la televisione nazionale. E la nostra nazione non appoggia certi messaggi.
Elena Pasquinelli