Si è conclusa domenica scorsa la COP21, XXI Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), tenutasi a Parigi dal 30 novembre al 12 dicembre del 2015. Tre i puntini cardine attorno ai quali 190 Stati si sono messi d’accordo: il limite di 1,5 gradi al rialzo della temperatura, un contributo finanziario annuo di 100 miliardi di dollari (fino al 2020) ai Paesi in via di sviluppo per i paesi in via di sviluppo e la revisione ogni cinque anni sui tagli alle emissioni nocive.
Si tratta di un accordo storico, che arriva 6 anni dopo la clamorosa débacle della COP15, conosciuta da tutti come la “Conferenza di Copenaghen”, chiusasi senza nessun vero accordo. In questi anni infatti molte cose sono cambiate nello scacchiere internazionale: la situazione geo-politica, gli equilibri tra Cina e Stati Uniti, lo stop improvviso della rincorsa al gas di scisto. Significativo è stato anche il contributo, questo stesso anno, dato dall’enclicica “Laudato si”, nella quale Papa Francesco ha dato un contributo fondamentale per smuovere le coscienze di ciascuno di noi e dei governanti dei diversi Stati ad agire in modo lungimirante ed accorto non solo per la salvaguardia della natura nel nostro Pianeta, ma contro i conflitti e gli squilibri sociali che il cambiamento climatico produrrà.
L’esito della COP 21 é un successo diplomatico, dovuto al contributo fondamentale di tre personalità politiche, con tempistiche e modalità diverse. Prima di tutto il Presidente della Repubblica Francese, il socialista Francois Hollande.
Un Hollande che nella sua carriera politica non è mai stato in prima linea nel sostegno all’ecologismo ma che, a tre anni e mezzo dalla sua elezione, pur non essendo ancora riuscito a dare una vera impronta verde alla Francia ha cercato di intestarsi diverse iniziative in tal senso – dal piano nazionale per la transizione energetica al un progetto di creazione dell’Agenzia Nazionale della Biodiversità, per ora tuttavia ben lontano dall’essere realizzato. Proprio Hollande ha spianato il terreno perché ci fossero le basi per una trattativa solida e fruttuosa: ha iniziato un personale lavoro di persuasione e coinvolgimento delle parti già dall’inizio dell’anno, concludendo a novembre una serie di viaggi di preparazione con lo storico e non scontato consenso cinese. Il successo della COP21 ha inoltre già pagato anche nelle logiche di politica interna, dove gli ex alleati Verdi si sono felicitati per l’azione del Presidente, per lasciare intravedere un prossimo ritorno al Governo della leader ecologista Emmanuelle Cosse e compagni di partito.
Il secondo ruolo chiave è stato interpretato da una donna di ferro, Laurence Tubiana, che si affaccio’ alla politica qualche decennio fa come assistente personale dell’ex-primo Ministro Lionel Jospin. La Tubiana era stata nominata rappresentante speciale del governo francese alla conferenza del Clima di Parigi da Laurent Fabius nel maggio 2014. E’ stata lei a capire che nessun accordo sarebbe stato possibile senza il coinvolgimento dei paesi del Sud, a partire da quel Perù che aveva organizzato la COP20 del 2014. Ed è stata sempre lei ad appoggiare l’ambiziosa posizione dei 1,5 °C difesa dalle piccole isole. Infine, é stata capace di cogliere l’importanza di piccoli ma grandi accorgimenti, a cominciare dal problema semantico sollevato dagli Stati Uniti sull’utilizzo in un passaggio del testo della parola un “shall” (quasi una costrizione) al posto del più tenue “should”. Per la Tubiana è meglio impostare un obiettivo che sembra irragionevole per poi fare lo sforzo intellettuale di chiedersi come raggiungerlo. Per lei deve essere l’economia reale ad adattarsi alle esigenze ambientali e permettere di raggiungere obiettivi che sembrano impossibili.
La terza persona chiave nello schacchiere verde di questa Conferenza è stato il Ministro degli Esteri Laurent Fabius, colui che ha condotto l’ultima settimana di discussioni e ha posto la parola fine all’accordo. Politico navigato, che spicco’ il volo già negli anni del primo Mitterand ma uscito precipitosamente di scena in seguito a vari scandali quando era Primo Ministro tra il 1984 e il 1986. Fabius ha dato prova di una ammirabile lucidità e lungimiranza strategica sin dal primo giorno della Conferenza: ha iniziato cercando di neutralizzare gli Stati più contrari all’accordo (essenzialmente i grandi produttori di petrolio capitanati dall’Arabia Saudita) e allo stesso tempo trattando con un occhio di riguardo gli attori chiave di questa trattativa, ovvero le grandi potenze mondiali. E’ inoltre riuscito a creare molte alleanze a suo favore, spingendo per la nascita di una intesa maggioritaria di Paesi ambiziosi, che ha di fatto pilotato le discussioni. Infine, Fabius ha saputo neutralizzare quelli che potrebbero essere definiti “i soliti indecisi’ e con un colpo di teatro ha impedito che all’ultimo qualche paese (Nicaragua su tutti) facesse affondare la nave ormai già entrata nel porto.
Fatti gli elogi dell’ottima prova del Governo Francese, bisogna ricordare che questo accordo entrerà in vigore solo nel 2020 e ci sarà comunque il rischio per tre anni che un Paese possa ritirarsi dall’accordo. Sapendo cosa é successo negli anni successivi a Kyoto e al famoso blocco del Congresso Americano, speriamo che all’accordo “storico” di Parigi farà seguito un massiccio cambio di rotta non solo delle politiche energetico-ambientali dei paesi, ma anche degli investimenti della finanza nell’energia pulita.
Fabrizio Botta – resp. ambiente PD Parigi
Massimiliano Picciani – segretario PD Parigi