Partito e Sindacato – una discussione sulla lista

Una sintesi (leggermente redazionata) della discussione sulla lista del Partito Democratico Parigi. Lasciate un commento, o magari iscrivetevi alla lista PD Paris e partecipate!

Emanuele Dolce 17 octobre 2010 07:11

Quello che mi lascia perplesso è il fatto che il segretario del Pd non vada a una manifestazione di lavoratori sostenendo che andare a quella promossa da Cisl e Uil sia uguale ad andare a quella della Cgil, e che quindi tanto vale mandare Fassina (chi?). Boh. Berlusconi al massimo sarebbe andato a entrambe: voglio dire, se c(è una cosa di cui hai bisogno oggi è stare in mezzo alle gente, e stai a casa? Mah.

Giovanni Ludi 17 octobre 2010 09:03

Cara Emilia,

So quanto l’Italia sia repressa. Conosco piuttosto bene quanto avviene in Italia e quanti siano quelli che guardano interdetti quanto stà succedendo in Italia ma purtroppo conosco anche bene quella che è il livello di “complicità” degli italiani che dall’attuale governo traggono all’apparenza qualche beneficio.

Non credo che sia banalmente un problema di repressione e di giornali ma in qualche modo perchè non si riesce ancora a costruire una proposta “politica” reale.

Da un lato i “complici” e dall’altro una opposizione frantumata ed in continua elaborazione. I lavoratori pagano naturalmente questa situazione e la pagano in un mondo che sembra si diverta a “desrtizzarsi”.

La crisi finirà per essere la futura scusa di altri tagli nella finanza pubblica ed ai diritti, per questo credo che la lotta sia indispensabile ma sia indispensabile la “proposta politica”.

Casa Italia, forse più di altri galleggia su un universo di debito pubblico, sulla politica berlu-bossianica perduta tra ricerca di immunità da parte di riccastri disonesti e chimere federalistiche.

Per quel poco che mi riguarda sono solidale alle battaglie e anche se da oltre 1.000 chilometri faccio il possibile per confortare e dibattere con i tanti ex colleghi, con gli amici e compagni che in Italia combattono con la cassa integrazione, con le minacce di mobilità, la precarietà, la disoccupazione dei figli….eccetera eccetera e anche i conoscenti della FIOM di Torino che ieri sono stati a Roma.

Certo l’Italia (che comunque legge pochissimo) è informata con i piedi ed è repressa (la polizia neanche nel passato scherzava) ma è anche troppo invecchiata.

🙂

Gianni

From: Barbara Revelli
Cari tutti,

mi permetto di segnalarvi il breve ma incisivo articolo che Tommaso Gaglia, segretario del circolo PD -Brescia Ovest, ha scritto sul suo blog
http://www.tommygaglia.blogspot.com

Giovanni Ludi 18 octobre 2010 17:11

Meditazione condivisibile. Su queste parole cme al vedere sfilare quelle persone mi si apre il cuore!

Ma, … ma, anche se può sembra strano, fare il tifo pubblicamente per la FIOM/CGIL (come mi direbbe il cuore) potrebbe favorire ulteriormente la divisione sindacale. CISL e UIL (in particolare i loro segretari) mi fanno incazzare come una Jena. Per quanto ne capisco, occorre operare per unire e non per separare ulteriormente.

Chiunque lavori sa quanto sia una sciagura il sindacato diviso. Il governo gioca a dividere, il PD è bene che non lo segua in questa strada. E’ bene che eviti di tifare per il suo sindacato “buono”.

Compito dei partiti è tracciare la politica (la strategia), i sindacati devono difendere decisi gli interessi particolari dei lavoratori. Sono due mondi simili, nel mondo dei movimenti di sinistra sono vicini, ma diversi nelle funzioni.

Magari il PD come tracciatore di strategie è ancora approssimato. Noi, nel nostro piccolo, siamo qui per dare una mano a questo.

Ciaoooooo

Gianni

Emanuele Dolce 19 octobre 2010 02:11

Sono d’accordo con Giovanni che sia preferibile ricercare l’unità sindacale – anche da parte della CGIL – piuttosto che andarealla rottura.

La questione politica rilevante che la FIOM pone, tuttavia, è quella della rappresentanza, e su questo tema alla CISL fanno orecchie da mercanti da troppo tempo: gli accordi debbono essere sottoposti al vaglio dei lavoratori. E’ poco democratico che CISL e UIL firmino un accordo separato con l’azienda e poi rifiutino di fare il referendum confermativo (con valore legale, beninteso, non consultivo), salvo quando sono sicuri di vincere come nel caso di Pomigliano. Quando si fanno forzature come questasi creano tensioni tra lavoratori che poi gli apparati fanno fatica a gestire. A cio’ si aggiunga il clima in cui vivono Fiom e Cgil da un po’ di anni a questa parte, tra accordi separati, propaganda berlusconiana, confindustria schierata apertamente contro e le ultime vigliaccate tra Sacconi che sproloquia sul terrorismo e Bonanni che gli va dietro.

Comunque son d’accordo con il post segnalato da Barbara e ripeto: non penso sia né giusto né intelligente chiedere al Pd di schierarsi contro la Cisl o a favore di una categoria della Cgil. Trovo pero’ veramente stupido non capire che tra non andare in nessuna delle due piazze e andare in entrambe avrebbe avuto più senso, per il segretario di un partito teoricamente laburista, la seconda soluzione.

Giovanni Ludi 19 octobre 2010 04:03

Come più volte ha detto il segretario generale della CGIL Epifani quello che contribuirebbe sarebbe una leggina. Una leggina sulla rappresentanza sindacale (che nessun governo ha mai voluto fare).

Una leggina che prevedesse l’obbligo di assemblee e votazioni per la convalida delle decisioni dei sindacati.

Oggi tutto dipende dai voleri delle segreterie sindacali e non vi è alcun vero obbligo! Quando fa comodo si vota. Nel passato anche la CGIL ha preferito non andare al voto.

In quanto alle differenze di “interessi” particolari all’interno delle fabbriche il contrasto tra operai, impiegati e quadri è secolare. I datori di lavoro e le loro organizzazioni confindustriose hanno giocato da sempre a dividere gli “interessi” di queste “categorie”, ovvero quando non riuscivano a dividere il fronte sindacale giocavano sul dipingere gli operai di rosso, gli impiegati di bianco e i quadri di celeste.

Queste tre categorie hanno anche grosse differenze salariali e talvolta contrattuali. Non mettiamoci anche noi a fare casino. Critichiamo ma diamo una mano per quanto ne siamo capaci.

G.

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Emanuele Dolce 20 octobre 2010 04:27

A questo punto si puo’ pensare ad una diversa fiscalità che tenga in conto i profitti delle imprese e i dividendi; è quello che tutta la sinistra francese si sta mettendo a fare.
Risposta di Marchionne a questo proposito: ed io delocalizzo.
Risposta politica del nostro partito: benissimo caro mio, ma scordati di vendere in Italia le tue Fiat prodotte altrove senza una soprattassa del 20%

Risposta mia: perché invece di tassare i profitti delle imprese, che poi tra l’altro per i prossimi anni con la crisi industriale che c’è non so quanti profitti faranno (e poi comunque i profitti sono un valore contabile, e vatte a fidà dei bilanci delle aziende, piccole o grosse, ché quelli che li certificano sono pagati dall’azienda stessa), invece di tassare i dividendi che magari ritassi la stessa classe media che ha messo due lire da parte e ha comprato un po’ di azioni, non facciamo pagare queste c****o di tasse a chi non le paga? Perché non fare una seria tassa patrimoniale, che tra l’altro i patrimoni sono più difficili da occultare del reddito (e sono spesso la risultante degli stessi utii non reinvestiti – o sottratti ai lavoratori – dagli imprenditori più furbetti)? Ogni tassa che imponi a un’azienda è “comunque” una tassa sul lavoro. Secondo me bisogna tassare i ricchi, non le aziende. E’ anche più facile da spiegare.

Quanto alla questione sulla delocalizzazione: mettere una tassa sulle auto prodotte all’estero non è una misura consentita dall’UE né dal WTO. Io poi sono per abolirlo il WTO, pero’ c’è. Quello che puoi fare è ridurre le tasse alle aziende che reinvestono, ma resta il punto che sollevavo l’altro giorno e cioé che queste cose o le si decide come europa, oltughedar, oppure non funzionano. C’è bisogno di una politica industriale europea. Subito.

Giovanni Ludi 20 octobre 2010 05:00

Certo, certe cose non si possono fare per norme internazionali. Credo che una politica industriale europea sarebbe una buona ed ottima cosa….

Cercasi pareri dei nostri esperti economisti…o anche link a riguardo

G

lorenzo 20 octobre 2010 08:33

Emanuele,
ti ringrazio per la tua risposta, che certo è coerente con la posizione del PD (e prima di lui dei suoi predecessori) degli ultimi 20 anni, a partire dal crollo del muro : “proteggiamo le imprese, che creano ricchezza, tassiamo i ricchi, paghiamo tutti le tasse, e tutto andrà per il meglio.” Con questa posizione non si vincono le elezioni, a meno di non chiamarsi Romano Prodi, il quale aveva un capitale di credibilità non indifferente presso la classe media ed i piccoli imprenditori. E, anche in tal caso, si finisce per perdere il governo quando si cerca di fare pagare tutte le tasse a tutti, perche’ ce ne sono troppe, lo sanno tutti. E ce ne sono troppe perche’ non tutti le pagano.

Nel frattempo, le grandi imprese si sono espanse, fanno sempre più profitti, ricordiamoci che la Fiat piange miseria per ottenere incentivi etc. ma ogni tanto fa degli anni record. In Francia, le imprese del cac40 fanno profitti record, anno dopo anno, e pagano sempre più dividendi. Dove finiscono questi dividendi ? E’ del tutto arbitrario pensare che finiscano « alla classe media » ; finiscono proprio ai « ricchi » , invece, che saremmo tanto d’accordo per tassare. Per esempio, i direttori generali come Marchionne, che ricevono decine di migliaia di azioni.

Non è neppure vero che « ogni tassa che imponi a un’azienda è “comunque” una tassa sul lavoro. ». Anche i notai lavorano, ed è giusto tassarli. Qualsiasi fonte di reddito deve essere tassata, perché essa è in parte frutto del lavoro, in parte frutto dei beni comuni, delle infrastrutture, dei servizi sociali che la rendono possibile. Sono pero’ d’accordo per quanto riguarda la patrimoniale, che dovrebbe essere istituita nonostante le polemiche ricorrenti qui in Francia sull’ISF.

In quanto all’UE, la pratica corrente è di votare una legge in contrasto con le direttive, e di discuterla poi. Se c’è la volontà politica, non vedo come non si possa fare passare, anche a costo di sfasciare l’UE nella sua forma attuale, che serve solo a mantenere bassa l’inflazione, e proteggere proprio i grandi patrimoni che tu vorresti tassare, a scapito di chi vive dei redditi del lavoro.

Lore

beatrice biagini 20 octobre 2010 09:09

In tutta questa discussione (che mi sembra davvero meriti di essere messa sul blog, anche cosi com’è se siete d’accordo) mi manca una risposta a una domanda che mi faccio.
Io ho sempre avuto a che fare con l’amministrazione pubblica, conosco il mondo del privato (direttamente) solo attraverso società partecipate o erogatrici di servizi pubblici (trasporti, gestione, acqua, rifiuti, recupero crediti) legate a comuni o enti pubblici.
Ho sempre avuto da discutere con i sindacati: funzione pubblica in primis, che difende posizioni indifendibili (se si lascia in questo momento fuori la scuola che merita un discorso tutto a parte).
Forse quella leggina servirebbe anche a spiegare chi rappresentano i sindacati?
Forse aiuterebbe a individuare un motivo per cui un partito che vuole rappresentare i lavoratori che oggi sono in gran parte precari, dovrebbe seguire i sindacati in piazza?
Ascoltarli. Ci mancherebbe.
Quanto alla patrimoniale c’è, solo che mancano i mezzi e le volontà per accertare i patrimoni.
Segalo che nello stato di NY i repubblicani appoggiano Cuomo proprio pechè nel suo programma c’è la riduzione della spesa pubblica E l’abolizione della patrimoniale…

Marchionne. Non credo sia lui la causa della crisi, se l’Italia non è competitiva perchè dovrebbe restare a negoziare con un governo che puo’ solo elargire regali sfasciando lo stato?

bye
bea

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Lorenzo Ciampolini 20 octobre 2010 16:23

Le 20/10/2010 15:09, beatrice biagini a écrit :

Quanto alla patrimoniale c’è, solo che mancano i mezzi e le volontà per accertare i patrimoni.

Da repubblica di oggi ecco il vate Tremonti:
Refrattari a tassare Bot. Il governo “ha qualche refrattarietà” alle ipotesi di “imposizione sui patrimoni”, ha sottolineato Tremonti. L’esecutivo, ha detto il ministro, è scettico anche sull’ipotesi di aumento di una tassazione sui Bot. Però ha aggiunto “siamo aperti a qualsiasi ipotesi”.

Se avessimo il controllo dei media, potremmo spiegare e fare accettare il principio della patrimoniale?

Marchionne è un simbolo, è il simbolo dell’amministratore che fa i propri interessi e quelli degli azionisti dell’impresa; questi interessi negli ultimi anni non sono più coincidenti con gli interessi dei lavoratori, né quelli degli operai né quelli dei quadri, come avevamo creduto nel 2000, vedi il bell’articolo di Visco.

In un contesto di competitività aggressiva, bisogna difendersi, ma si puo’ farlo anche in altro modo che non elargendo dividendi stratosferici e abbassando tutti i costi e sfruttando alla morte i lavoratori. Per esempio, si puo’ al contrario rimotivare i lavoratori più capaci con aumenti interessanti. Con prospettive di carriera per i giovani.

Al contrario, Marchionne sceglie la strada dell’abbassamento dei costi, della cinesizzazione del lavoro in europa. Non voglio demonizzarlo, ma dobbiamo sapere che lui e la Marcegaglia non fanno più gli interessi del nostro partito e dei potenziali votanti del nostro partito.

PS tutto questo non è detto tanto da un’ottica di estrema sinistra, per la quale qualsiasi “padrone” è cattivo; piuttosto proprio da un’ottica di salvaguardia e dell’industria europea e dei diritti e della libertà dei lavoratori europei bisogna sapere scegliere chi puo’ portarci nell’europa del terzo millennio e chi ci fa sprofondare sempre più nella crisi, tutto questo mentre pasteggia a caviale e champagne 😉

Lore

Emanuele Dolce 21 octobre 2010 06:32

L’emissione di un dividendo a volte serve a far capire agli investitori che l’azienda è a posto nonostante la crisi. Siccome in ambito industriale non è come in politica, i “leader” aziendali debbono sempre dimostrare con i fatti gli impegni e le parole date. Dato che il bienno 2008-2010 è stato drammatico, dato che Fiat ha fatto una magra figura con la vicenda Opel, dato che si è pure accollata Chrisler perché la Dottrina Marchionne ipotizza la riduzione del mercato dell’auto a 4-5 grandi attori da qua a 10 anni (e lui vorrebbe essere tra quelli), date tutte queste cose pagare un dividendo (che sinceramente non definirei “stratosferico”) significa mandare un segnale al mercato, dire: “noi stiamo bene, siamo liquidi, voi potete investire”.

il dividendo distribuito da Fiat sull’esercizio 2010 è stato di 237 milioni di euro, a fronte di un utile di 1,1 miliardi di euro (un terzo dell’utile dell’anno prima, il 2009 è stato un anno terribile per l’auto, come sapete).

andando a vedere la struttura del capitale (http://www.consob.it/main/documenti/assetti/semestre2-2008/5030_TOrdDich.html) si nota che il 61% delle azioni Fiat sono controllate dal mercato (cioé da gente normale, piccoli fondi d’investimento, etc.) e gli azionisti rilevanti sono 3:

– Exor spa, che è controllata da Ifi, che è controllata (direttamente o meno, non ricordo) dalla Giovanni Agnelli SApA (che essendo in accomandita non è contendibile, lo dico ora ma ci tornero’ in seguito) con il 30% circa delle ordinarie,
– Capital Research and Management, che è controllata da un enorme fondo californiano, Capital Group, con il 5% circa
– FMR lcc, che è un altro giga-fondo americano, con il 2% e rotti

Andando quindi a calcolare i dividendi percepiti da questi grossi attori, se ne deduce che sull’esercizio 2009 – il primo a pagare un dividendo dopo mi pare qualche anno – la famiglia Agnelli ha avuto circa 55 milioni di euro, CRM ha avuto 9 milioni e mezzo, meno di 4 ne ha avuti FMR. Se non erro la società Gianni Agnelli SApA non paga alcuna tassa sul dividendo, in quanto azienda, ma le persone fisiche che le stanno dietro avranno pagato comunque delle tasse, sia sull’utile se la società ha avuto utili, sia sui dividendi se la società ha pagato a sua volta un dividendo, altrimenti lo pagheranno al momento (teorico) di cedere quote della società e di incassare una plusvalenza. Questo per dire che questi soldi non sono sfuggiti al fisco, almeno in teoria.

Cio’ detto, secondo me il vero problema non è come Marchionne decide di gestire l’azienda, ma fare in modo che la sua opera sia valutata democraticamente dal mercato, cioé promuovere un sistema di proprietà aziendale simile a quello americano, in cui i manager fanno “campagna elettorale” per essere nominati nelle grandi aziende, e il loro operato è sottoposto al vaglio dell’assemblea. Invece in Italia per colpa del mecanismo dell'”alfa diluito” – cioé del sistema delle scatole cinesi, grazie a cui io detengo il 10% di un’azienda, che detiene il 10 di un’altrà, che detiene il 10% di un’altra e cosi’ via, e alla fine con pochi milioni di euro controllo a cascata società di decine di miliardi – Marchionne non lo vota un’asemblea ma lo nominano gli Agnelli, e lui specialmente agli Agnelli risponde, non al mercato. E siccome gli Agnelli controllano la Fiat, la Stampa e varie altre cosucce, gli Agnelli hanno troppo potere in Italia, e hanno intrattenuto con lo Stato (cioé con i soldi delle nostre tasse) un rapporto incestuoso e squilibrato: nel senso che loro stavano sempre sopra, se mi si passa la scurrilità.

Marchionne non è pagato per fare gli interessi della collettività. Lo sarebbero i politici. Quello che a me non piace è che Marchionne intraprenda uno scontro di potere, su questioni di potere, coi i lavoratori, puntando a ridurne i diritti per renderli più controllabili. E che il Governo ne approfitti per colpire l’unica organizzazione di massa di sinistra rimasta nel paese. E che il mio partito balbetti sospeso tra la difesa del posto sottotutelato qua in italia, qua e ora, e il sapere di dover prima o poi trovare le parole per dire alla gente che le auto, in europa, non è economicamente ragionevole produrle.

e.

Documento della Circoscrizione estero a Varese

La due giorni di Varese ha visto partecipare la quasi totalità dei delegati, compresi i 44 eletti all’estero.

Ne è uscito un documento votato all’unanimità e adottato da Rosy Bindi tra i materiali dell’assemblea.

I nostri delegati hanno avuto modo di lavorare insieme ai delagti italiani nelle commissioni tematiche, cosa che è stata apprezztata enormemente per il contributo che la nostra esperienza ha saputo portare.

Vogliamo ringraziamo tutti coloro che hanno partecipato alle riunioni di preparazione e all’elaborazione dei contributi che ci hanno permesso di arrivare a un documento unico e condiviso, che resta un piccolo pezzo del percorso del partito all’estero, ma che è iniziato con il passo giusto.

Ringraziamo inoltre l’ufficio del PD mondo per l’ottima organizzazione.

Un partito che funziona si vede anche da questo.

ecco il testo del documento:

Italiani nel mondo: l’impegno del Partito Democratico

In questi due giorni il Partito Democratico sceglierà il suo progetto, in ballo c’è il futuro del centrosinistra italiano e la costruzione di un’alternativa di governo alla destra italiana, la peggiore d’Europa.  In questo quadro gli italiani residenti all’estero sono parte fondante e fondamentale del Partito Democratico e della sua apertura al di fuori dei confini nazionali.

Gli italiani residenti all’estero sono circa 4 milioni e molti di più quelli che, pur non avendo la cittadinanza italiana, sono discendenti di italiani perfettamente integrati e spesso al vertice delle istituzioni dei rispettivi paesi.

Nel corso degli anni hanno contribuito in maniera determinante a risollevare le sorti dell’Italia: con il loro lavoro hanno garantito le risorse necessarie al rilancio economico e produttivo del Paese; intere regioni hanno conosciuto uno sviluppo grazie al contributo delle comunità all’estero, che hanno inventato mestieri e mercati esattamente come stanno facendo oggi gli immigrati che vengono in Italia a cercare lavoro e risorse.

Il Partito democratico deve essere capace di interpretare la storia delle comunità italiane all’estero: dalle più radicate alla nuova mobilità italiana, caratterizzata da competenze e dinamiche nuove e culturalmente diverse, nel tentativo di ottimizzare le presenze e le esperienze di ciascuno.
Il Partito Democratico deve riconoscere le specificità delle comunità italiane all’estero e metterle al servizio del suo progetto per l’Italia.

Oggi, dopo anni di politiche miopi e incapaci di valorizzarne il contributo storico e le potenzialità, le donne e gli uomini delle comunità italiane all’estero vivono emarginate da un governo impegnato a screditarne la dignità e a negarne la funzione a favore dell’Italia nel mondo.  Lo smantellamento di politiche essenziali quali la promozione della lingua e la cultura italiana, i servizi consolari, la stampa all’estero e l’attenzione alle giovani generazioni, insieme alla negazione dei diritti di democrazia con l’ulteriore rinvio del rinnovo degli organismi di rappresentanza, crea una situazione di emergenza per le comunità residenti all’estero con conseguenti gravi danni all’internazionalizzazione dell’Italia.

Il Partito Democratico deve farsi protagonista di un nuovo patto sociale tra l’Italia e le sue comunità all’estero: per investire risorse nell’insegnamento della lingua e della cultura, nella formazione e per le politiche di assistenza, sanità e solidarietà; per una corretta riforma  del Ministero degli Affari Esteri capace di soddisfare la crescente domanda di servizi di qualità eliminando sprechi e sperequazioni e diventare vero strumento di sostegno al sistema Italia.

I delegati della Circoscrizione estero chiedono all’assemblea nazionale del Partito Democratico di impegnarsi sui temi che sempre di più riguarderanno i cittadini italiani siano essi in Italia o all’estero anche in materia di diritti civili e di cittadinanza, di attenzione alle giovani generazioni e alla nuova mobilità.

Il lavoro svolto in questi anni dai tanti circoli sparsi per il mondo è stato fondamentale per l’azione politica del PD all’estero.
Sentiamo adesso l’esigenza di un rapporto più diretto fra la Circoscrizione Estero e il Partito in Italia poichè le questioni che ci interessano sono invece di natura sovranazionale e sono legate alla mobilità del lavoro, l’internazionalità delle scelte e  la globalità delle politiche economiche.

Il nostro fare politica deve essere all’altezza di questa dimensione e deve disporre delle risorse necessarie se non vuole perdere contatto con la realtà in cui opera.