Continua la discussione sull’opportunità di proibire il velo integrale, offesa indiscutibile alla dignità delle donne (o meglio: segno indiscutibile di una dignità offesa, di un’immagine deleteria della donna).
Vorrei introdurre nell’argomentario la reazione degli Stati Uniti, o almeno di una testata importante: il New York Times. Cito:
“It is easy to see that a woman’s human rights are violated when a government requires her to wrap her body and face in an all-concealing veil, as the Taliban used to do when it ran Afghanistan. It should be just as easy to see the violation when a French parliamentary panel recommends, as it did this week, barring women who wear such veils – the burqa and the niqab – from using public services, including schools, hospitals and public transportation. (Muslim head scarves have been banned from public school classrooms since 2004.)”
L’argomento corre cosi’: scelte come quella di non mettere il burqa devono essere compiute dalla persona interessata e non dallo stato o dalla polizia, esattamente come la scelta di portarlo non puo’ essere imposta dallo stato (integralista).
Insomma la libertà è una condizione identica nelle due situazioni, che sono simmetriche.
Il che lascia aperta una strada di divieto: il divieto di vietare o di imporre. Imporre il velo ad una donna per esempio potrebbe essere vietato, senza per questo andare a toccare delle libertà di scelta personale e di autodeterminazione.
L’articolo del Times (che è un editoriale) porta in seguito sulla ragione del clamore intorno al burqa: distrarre l’opinione pubblica da altri problemi e sacrificare una piccola minoranza, che quindi non ha peso in termini di voto (le regionali):
“Unfortunately, French politicians seem willfully blind to the violation of individual liberties. With regional elections scheduled for March, Mr. Sarkozy and his allies are desperately looking for ways to deflect public anger over high unemployment. It is hard to produce jobs and far too easy to fan anti-Muslim prejudices.
France has more than five million Muslim residents, the most of any Western European country. Fewer than 2,000 are said to wear full-body veils, posing no obvious threat to French identity or security. But because they are so few, they make a temptingly cheap electoral target.”
Ecco anche il servizio, molto più neutro, della BBC e un servizio, sempre BBC in cui Bernard-Henry Levy difende la priibizione e rappresenta la visione “alla francese” sul problema della libertà e Ken Livingston rappresenta quella inglese: per lévy, una cosa è battersi per la libertà di essere liberi e libere (come nel caso dell’abbigliamento alla fine degli anni ’60) e altra cosa è battersi per il diritto a essere incarcerate in un abito, per il disprezzo del proprio corpo e del proprio genere. Nella visione inglese battersi per il proprio diritto di scegliere è uguale nei due casi, il contenuto per il quale ci si batte non conta.
Da notare che Livingston sollecita Lévy a pronunciarsi sul perché la religione cattolica occupa una posizione asimmetrica in questo discorso: perché non si chiede alla Chiesa cattolica di rinunciare al velo delle suore? Non è uguale al velo delle donne islamiche? Solo perché toccare la religione cattolica fa perdere più voti?
Mi pare importante approfondire queste due visioni, e mi pare interessante che, nelle discussioni che vengono aperte su più fronti, siano presenti tanto il “discorso politico” sulle ragioni di concentrare l’attenzione su questo genere di provvedimenti ora, quanto il discorso sulla nostra società occidentale: che rivendica la liberazione dal burqa per le islamiche, ma non quella da altre forme di “indignità” nostrane per le donne occidentali.
Elena Pasquinelli