AndIMU è tempo di pagar… si potrebbe parafrasare questo scorcio d’inizio estate italiana.
Indipendentemente da come si pensi sull’istituzione di questa nuova forma di entrata per le disastrate finanze nostrane, il pagamento dell’IMU per i chi, Italiano, risiede e lavora all’estero presenta alcuni risvolti che eufemisticamente si potrebbero definire beffardi.
Come ormai molti avranno appreso a “proprie spese” il pagamento della tassa, dovuto dai proprietari d’immobili come le abitazioni, risulta enormemente differenziato a seconda che la casa sia considerata residenza principale o meno. Concetto quest’ultimo, la cui ambiguità si presta, come di fatto sta avvenendo, ad una valanga d’interpretazioni anche nel caso in cui il proprietario possegga solo quell’abitazione.
Procediamo per gradi. Se uno ha un’abitazione in un comune dove è residente e lavora in un comune limitrofo tornando ogni giorno a casa appare scontato considerare tale abitazione come principale. Se per caso, come accade anche spesso in Italia, la persona lavora molto distante ma sempre in Italia e ci ritorna più o meno saltuariamente, credo non ci siano problemi a mantenere la stessa classificazione.
Allarghiamo però i nostri confini geografici e forse non solo quelli. Che succede se la stessa persona lavora all’estero e ci ritorna ovviamente con meno frequenza ? E qui che le cose divengono più intrigate. A priori, varcare e vivere di un centimetro oltre il confine nazionale per un periodo superiore a 6 mesi fa scattare l’obbligo, anche se non sanzionato, di iscriversi, presso il consolato di riferimento, all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero).
In un tempo globalizzato come il nostro, dove la mobilità diviene sempre più accentuata e dove in Europa esiste ormai la libera circolazione delle persone (oltre che dei capitali), di fatto esitono centinaia di migliaia di persone che vivono “stabilmente” all’estero e non sono iscritte all’AIRE.
Tuttavia l’iscrizione all’AIRE sembra essere finita dentro il criterio per stabilire se un’abitazione in Italia sia da considerarsi o no principale. Il Governo Italiano investito della cosa sembra che abbia pilatescamente risolto la questione demandando ai Comuni. Il risultato, come spesso accade, é che i Comuni stanno applicando comportamenti diversi.
Una breve inchiesta fatta fra gli aderenti all’Associazione Democratici Parigi sembra avvallare questa ipotesi. È così che il comune di Torino e alcuni del Bolognese non considerano l’iscrizione all’AIRE fra le condizioni necessarie per dichiarare l’abitazione del proprietario iscritto come non principale. Diverso il caso del Comune Roseto degli Abruzzi e il mio, Triuggio in Provincia di Monza e Brianza, dove per l’IMU, prima rata almeno, si applica l’aliquota massima qualora il proprietario risulti iscritto all’AIRE.
Il risultato di questo è che ci sono proprietari che vivono e/o lavorano buona parte della loro vita all’estero e che dovrebbero pagare l’aliquota massima o usufruirne di una scontata secondo la loro iscrizione o meno al registro degli Italiani all’estero, anche se, come è noto, questo registro non rappresenta più, soprattutto in Europa, la situazione effettiva di residenza.
C’è persino di più. Esistono diverse forse contrattuali di lavoro, anche fra chi lavora all’estero. C’è ad esempio chi ha un contratto locale e paga le tasse in loco e chi, come nel mio caso, ha un contratto di distaccamento temporaneo. In questo caso lo stipendio arriva direttamente dall’Italia previa riduzione alla fonte di tutte le tasse dovute, incluse le IRPEF regionali e comunali. Esattamente come un normale cittadino Italiano, almeno fra quelli che le tasse le pagano. Tuttavia anche il distaccato ha l’obbligo d’iscrizione all’AIRE, come lo sono io del resto.
Nel mio caso ecco quindi quello che salta fuori: possiedo un’unica casa e questa sta in Italia, condivisa al 50 % con mia moglie. Io vivo all’estero e sono iscritto all’AIRE, mia moglie e miei due figli no. Dipendo da una società privata Italiana da dove ricevo lo stipendio già tassato, incluse le imposte locali sul reddito oltre che quelle legate ai servizi come la TARSU. Il 50 % della mia casa è considerata abitazione non principale e quindi devo pagare con l’aliquota massima come per le seconde case. Se non fosse per la parte di mia moglie, non avrei diritto neppure alla detrazione per i figli nonostante siano a mio carico.
Finita qua la storia? No, mi metto pure la ciliegina su questa torta indigesta. Esistono dei lavoratori distaccati che lo sono meno di altri. Si tratta di quei lavoratori distaccati dallo stato Italiano e che lavorano in Ambasciate, Consolati e altre Istituzioni. Loro non hanno obbligo d’iscrizione all’AIRE. Come me ricevono lo stipendio dal paese di origine e contrariamente alla mia la loro casa Italiana é definita quindi principale. Il danno e la beffa.
Preferirei che tutta sta faccenda fosse risolta in sede nazionale e che fosse uguale per tutti. Invece mi sa che mi toccherà sperare in un regolamento “ad personam” del mio piccolo comune brianzolo.
Niente di nuovo quindi sotto il cielo di un’altra estate italiana.
Luca Saini