Il 14 gennaio sono stati pubblicati i risultati per i Consolidator Grant distribuiti dallo European Research Council (ERC) nel 2013. Questi finanziamenti, tra i più prestigiosi e ricchi al mondo, coprono uno spettro molto ampio di discipline scientifiche e umanistiche, e sono destinati a ricercatori che abbiano tra i sette e i dodici anni di esperienza nella ricerca dopo il dottorato. I vincitori ricevono in media poco meno di 2 milioni di euro per finanziare il loro gruppo, che lavorerà per massimo cinque anni sul progetto selezionato. Oggi questi finanziamenti rappresentano per gli scienziati di tutta Europa non solo una prestigiosa occasione di affermazione scientifica, ma anche uno dei modi più diretti per ottenere una posizione stabile in un momento in cui il calo delle assunzioni nella ricerca sembra raggiungere livelli mai visti.
È quindi molto interessante leggere le statistiche pubblicate dall’ERC e relative ai finanziamenti assegnati quest’anno. Queste forniscono un quadro se non completo, quanto meno eloquente della mobilità degli scienziati di tutta Europa, della qualità degli istituti che li accolgono, e della ripartizione tra i sessi nelle varie discipline e nazioni. Un dato di interesse generale è ad esempio che, se la percentuale di premi assegnati a donne è ancora piuttosto bassa (24%), è però in lento aumento rispetto agli anni passati (era al 22.5% nel 2012).
Per noi italiani questi dati sono anche e soprattutto una rappresentazione emblematica dei problemi della ricerca nel nostro Paese. Leggendo le statistiche pubblicate dall’ERC, si comincia da un dato piuttosto negativo per i nostri istituti: l’Italia è solo sesta, a pari merito con la Spagna, come host institution (pagina 3), e accoglie quasi esclusivamente ricercatori italiani (pagina 6).
Allo stesso tempo i ricercatori italiani hanno un successo eccezionale: sono secondi per numero di borse vinte, appena dietro ai tedeschi. Questo dato è ancora più significativo se si pensa che gli italiani nel mondo sono poco più della metà dei tedeschi.
Di questi brillanti ricercatori italiani però, più della metà andranno a lavorare, con i loro fondi in tasca, all’estero, come si vede dall’impressionante grafico qui sotto (e a pagina 5 del documento).
Questi dati, in fondo, non fanno che confermare quello che gia’ sapevamo. L’università, e prima ancora la scuola, italiane sono capaci di produrre ricercatori preparati e competitivi a livello internazionale, che però non hanno prospettive concrete in Italia e sono quindi spinti a partire e fare carriera altrove. Spesso mi è capitato di sentir dire come il problema non sia quello dei ricercatori italiani che vanno all’estero, considerato da molti come il segno di una sana mobilità, ma piuttosto la scarsa ospitalità e attrattività degli istituti italiani per i ricercatori stranieri. Tuttavia, i dati pubblicati dall’ERC smentiscono violentemente la premessa: quella dei ricercatori italiani non è mobilità, ma una vera e propria diaspora dovuta alla frustrante mancanza di prospettive che per di più sembra essere, e sappiamo essere, indipendente dal loro merito.
Questi dati mettono anche in luce quanta ricchezza intellettuale e pecuniaria (visto che una fetta di questi finanziamenti milionari finisce direttamente nelle casse degli istituti ospiti) l’Italia stia sprecando. In questo senso, e considerata l’età media di 39 anni dei vincitori dei Consolidator Grants, viene da chiedersi se il successo dei ricercatori italiani in Europa non sia parte di un’eredità storica delle nostre università destinata però a deteriorarsi rapidamente a colpi di tagli sui finanziamenti e blocco delle assunzioni.
Speriamo che i politici italiani restino anche loro impressionati quanto noi dai dati dell’ERC, e che ricomincino a dedicare la giusta attenzione a questo spreco di risorse in un ambito strategico per lo sviluppo del nostro Paese.
Camilla Maiani