Se non con la lettera, sono molto d’accordo con lo spirito dell’appello di Peacelink, che invita a una manifestazione spontanea in sostituzione di quella revocata oggi per la libertà di informazione. Vorrei dedicare un po’ del mio tempo, sperando di non importunarvi se userete il vostro per leggere queste mie, a una riflessione sull’opportunità di sospendere la manifestazione di oggi; dato che – per dirlo subito – non sono assolutamente d’accordo con la sospensione, diciamo questa riflessione è il mio modo di manifestare oggi.
La difficoltà della situazione italiana è tutta imperniata sulla questione della libertà di stampa. Un gruppo editoriale è al potere; l’opposizione sembra essere ridotta a un altro gruppo editoriale. La manifestazione di oggi era di un’importanza capitale. Perché è stata rimandata?
Il sito della FNSI (http://www.fnsi.it) adduce:
““Con profondo rispetto verso i caduti, nell’espressione di un’autentica, permanente volontà di pace quale condizione indispensabile di una informazione libera e plurale capace di rappresentare degnamente i valori della convivenza civile, la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, ha deciso, d’intesa con le altre organizzazioni aderenti (Cgil, Acli, Arci, Art. 21, Libertà e Giustizia e numerose associazioni sindacali, sociali e culturali), di rinviare ad altra data la manifestazione per la libertà di stampa programmata a Roma per sabato prossimo.”
La ragione è il rispetto verso i caduti. (Non ne sono completamente sicuro, peraltro: la formulazione è “con profondo rispetto”, non “per profondo rispetto”; ma non si vedono altre spiegazioni nella frase della FNSI):
Ora, una ragione di questo tipo è buona oggi quanto lo sarà in futuro. Se il mattino del tre ottobre un’altra bomba crea altrettanti morti a Kabul? Non voglio però fermarmi a questa eventualità. Se il due ottobre muoiono venti persone in un megatamponamento sulla Milano-Venezia? Se l’uno ottobre ci sono cinque morti sul lavoro?
A questo punto vengono le domande difficili. Mi pare che nessuno le sollevi in questa forma, ma non è una ragione per eluderle. In che senso le morti dei militari, in una missione, hanno un peso differente, tale da far rimandare una manifestazione di importanza cruciale?
Il punto non è tanto se le morti dei sei soldati siano un fatto grave. Lo sono. Il punto è capire se sono un fatto più grave dei mille infortuni sul lavoro l’anno, o dei seimila morti per incidenti stradali l’anno. Non lo sono; non foss’altro per ragioni puramente quantitative. L’esperienza di altri paesi mostra che un’azione determinata del Governo può ridurre queste cifre, che non hanno nulla di ineluttabile (l’esempio della Francia è straordinario in questo senso). Trovo abbastanza difficile da accettare che il Governo e il Parlamento passino anche una sola ora a preoccuparsi della vita di militari in una missione a dir poco opaca (non sappiamo se missione di pace o di guerra secondo esponenti della maggioranza) e non dedichino che del tempo marginale agli infortuni sul lavoro o agli incidenti stradali.
L’unica ragione per dare più peso alle sei morti di militari, ripeto: al punto di sospendere una manifestazione di importanza cruciale, è il loro evidente impatto mediatico.
Ma se questa è la motivazione, sospendere la manifestazione di sabato è un grave errore politico. Significa capitolare di fronte al dogma inaccettabile per cui l’agenda politica è determinata solo dall’impatto emotivo delle breaking news, e tanto più grave è la capitolazione in quanto la manifestazione riguarda proprio la libertà di stampa. Significa rinunciare implicitamente all’esigenza legittima di essere informati e non coinvolti emotivamente. Significa inoltre indicare che in futuro si sarà pronti a disdire manifestazioni sulla base di considerazioni puramente mediatiche.
Anche di fronte alla morte di queste persone, non è chiaro che la sospensione della manifestazione esprima un vero rispetto. In che senso avrebbe loro mancato di rispetto manifestare? L’informazione libera ha contribuito a rendere trasparenti i processi decisionali, smascherato gli interessi delle guerre, in fin dei conti tutelato la vita dei cittadini che si sono trovati di fronte a decisioni belliche senza poterle controllare democraticamente. Sospendere la manifestazione è allora una questione di pura convenienza mediatica? Oltre a essere politicamente sbagliata, la sospensione diventa ai miei occhi moralmente inaccettabile.
Roberto Casati
Vorrei ringraziare pubblicamente Roberto Casati a nome di tutta la redazione di PeaceLink.
Sono profondamente in sintonia con quanto scritto in questo articolo e provo a dire la mia.
Delle due una: o “i nostri ragazzi” (come amano chiamarli certi politicanti) sono in missione di pace, oppure in guerra.
Se si trovavano a Kabul per un’azione di guerra non serve ricordare al Presidente della Repubblica, nonché Capo delle Forze Armate, che stiamo calpestando la nostra Costituzione.
Se si trovavano a Kabul in missione di pace, allora io li considero “morti sul lavoro” al pari di tutti gli altri. Mi chiedo: questi caduti sul lavoro perché meritano più attenzione – da parte delle Istituzione e dello Stato Italiano tutto?. Perché loro vengono concessi i funerali di Stato ed ai muratori che cadono da un’impalcatura no?
Forse c’è una deroga all’articolo 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.” di cui io sono all’oscuro?
Concludo. La manifestazione (per la libertà di stampa) era prevista per sabato 19. I funerali si svolgono oggi, lunedì 21. Nel caso i giorni fossero stati coincidenti pure io avrei detto: è il caso di rinviare.
Ma i giorni e – soprattutto – le tematiche (informazione e peacekeeping) sono profondamente diverse. Ecco perché non comprendo la ragione del rinvio. Se qualcuno riesce a spiegarmela senza giri di parole glie ne sarò grato.
Giacomo Alessandroni
Segretario di PeaceLink
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Tristemente, a posteriori, si è visto come un altro lutto nazionale (la tragedia di Messina) abbia contato di meno.
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